La mostra di Rovigo in corso a Palazzo Roverella offre l’occasione di riflettere sull’importanza della cultura giapponese nell’arte occidentale. L’esposizione prende in esame il periodo storico compreso tra il 1860 e il 1915, poiché è in questi decenni che il fenomeno del giapponismo si afferma in Europa, avvicinandosi all’esperienza dell’impressionismo e segnando per sempre grafica e illustrazione. Ma il giapponismo seduce anche la quotidianità con il suo desiderio d’Oriente.
Il curatore Francesco Parisi nel saggio in catalogo (Giapponismo e giapponismi europei. 1860-1915) distingue tra japonaiserie e japonisme, intendendo con il primo termine l’ammirazione esplicita per l’arte giapponese e con il secondo una fase più evoluta. Di quest’ultimo momento racconta la mostra, dell’influenza giapponese sui principi compositivi dell’arte occidentale. Il percorso si compone di nuclei narrativi corrispondenti ai paesi europei indagati e riserva uno spazio speciale alle opere giapponesi provenienti perlopiù dai Musei d’Arte Orientale di Venezia e di Genova.
Dopo una pace forzata durata quasi 250 anni, il Giappone finalmente apre i suoi porti ai commerci. Fino a quel momento la conoscenza del mondo nipponico è stata concessa da parte occidentale solo agli olandesi che si sono fatti nel tempo mediatori economici e culturali. È il 1854 quando viene firmata, dopo anni di trattative, la convenzione tra Giappone e Stati Uniti. Nei porti iniziano ad arrivare imbarcazioni provenienti da tutto l’Occidente.
Parigi diventa il principale luogo di diffusione del cosiddetto giapponismo, o almeno i francesi ne rivendicano la paternità. Lo scrittore Edmond De Goncourt lo fa nel romanzo Chérie; a testimonianza della sua passione per l’arte giapponese ci sono anche le monografie dedicate a Utamaro (1891) e Hokusai (1896). Lo stesso Claude Monet interviene nella questione sul primato del giapponismo, raccontando di avere acquistato la sua prima stampa giapponese nel 1856.
Inoltre, le Esposizioni internazionali nelle principali città europee, come Londra, Parigi, Vienna, diventano uno strumento di conoscenza determinante: è in queste occasioni che il Giappone si mostra nella sua pienezza di vita e di arte, ricostruendo case e giardini nei padiglioni riservati.
Sicuramente la capitale francese è il centro preferito dei collezionisti, qui si possono trovare stampe, mobili, paraventi, ceramiche, ventagli, sete, kimono. Marco Fagioli nel saggio in catalogo (Gli impressionisti e il japonisme) ricorda il negozio Le Porte Chinoise in rue de Rivoli aperto da Madame Desoye nel 1862, dopo un soggiorno in Giappone con il marito.
Tra i mercanti di riferimento ricordiamo Siegfried Bing (1838-1905), tedesco di nascita e francese d’adozione, profondo conoscitore dell’arte giapponese e proprietario di una società di importazione di opere artistiche che nel 1890 organizza la prima mostra dedicata alla stampa giapponese all’École Nationale des Beaux-Arts. A lui dobbiamo anche la fondazione della rivista mensile Le Japon Artistique (1888-1891) pubblicata in inglese, francese, tedesco e della Galleria L’Art Nouveau – La Maison Bing.
Ciò che l’Occidente importa dall’Oriente è un sogno. È l’immagine della vita desiderata dai mercanti, i nuovi ricchi, vissuta tra teatri, case da tè, giardini, cascate e animata dalle sensuali donne giapponesi. È il mondo fluttuante (ukiyoe) in cui occidentali e orientali vogliono lasciarsi andare.
ll giapponismo
La mostra propone una lettura del giapponismo per aree geografiche: Francia, Belgio, Olanda, Inghilterra, Austria, Germania, Boemia, Italia. Le opere proposte documentano la seduzione esercitata dalle atmosfere e dai costumi orientali: ci sono interni impreziositi da ceramiche, stampe, paraventi e oggetti di chiara provenienza; figure femminili avvolte in sete ricamate; rappresentazione di donne dai tratti orientali in kimono. In questi casi il giapponismo si manifesta in una sorta di citazione diretta.
La fase più evoluta, come la definisce il curatore, e più interessante dal punto di vista della ricerca artistica, riguarda la sedimentazione dei principi compositivi orientali nella cultura visiva occidentale: l'adozione della bidimensionalità, l'essenzialità delle forme, la ricerca di astrazione e sintesi, la resa leggera dell'atmosfera.
Giuseppe De Nittis (Barletta, 1846-Saint-Germain-en-Laye, 1884) può dirsi un protagonista della mostra con ben otto opere presenti. Considerato un interprete raffinato della mondanità internazionale, arriva nella capitale francese nel 1867 e accoglie con immediato entusiasmo le novità giapponesi, diventando appassionato collezionista di stampe e di oggetti. Il dipinto “Fra i paraventi” (Collezione Venceslao Di Persio) ne è un chiaro omaggio: la rappresentazione di donne di spalle circondate da paraventi è un’iconografia tipica della grafica giapponese del periodo Edo. Anche l’acquaforte datata 1873 rappresenta una figura femminile ripresa di profilo con indosso un kimono e i capelli raccolti a shimada, tipica acconciatura giapponese (Roma, Istituto Centrale per la Grafica).
Gli acquarelli del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi sono una testimonianza profonda della comprensione dell’arte giapponese da parte di De Nittis. Il taglio compositivo, gli alberi come quinte, la leggerezza rarefatta dell’atmosfera, i tocchi pittorici evanescenti, l’idea di un tempo infinito in uno spazio catturato per sempre raccontano di sedimenti artistici venuti da lontano.
In mostra ci sono anche i grandi nomi dell’arte. Claude Monet, Edgar Degas, Vincent Van Gogh, Paul Gauguin aprono il percorso espositivo richiamando alla memoria l’importanza dell’insegnamento dell’arte nipponica per i maestri della moderna pittura.
Accanto a loro Toulouse-Lautrec, Klimt, Carl Moser, gli inglesi Albert Moore, Sir John Lavery e Christopher Dresser; gli italiani Galileo Chini, Plinio Nomellini, Giacomo Balla, Antonio Mancini, Antonio Fontanesi e Francesco Paolo Michetti; e ancora i francesi Pierre Bonnard, Paul Ranson, Maurice Denis ed Émile Gallé; i belgi Fernand Khnopff e Henry Van De Velde.
Il catalogo “Giapponismo. Venti d’Oriente nell’arte europea. 1860-1915” è pubblicato da Silvana Editoriale. In catalogo i testi di: Francesco Parisi, Rossella Menegazzo, Marco Fagioli, Jean-David Jumeau-Lafond, Marc Olivier Ranson Bitker, Manuel Carrera, Giovanni Fanelli, Mario Finazzi, Anna Villari.
La mostra rimane aperta fino al 26 gennaio 2020.
Per informazioni: Palazzo Roverella di Rovigo
In copertina "Alberello in fiore" di Koloman Moser, 1913, Belvedere, Vienna
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